Un volume di fresca pubblicazione completa lo straordinario poker di libri dedicato nel corso degli anni dall’associazione culturale Scanagatta di Varenna alla storia dei trasporti sul nostro territorio. La trattazione si era aperta con “Breva e Tivano motori naturali” e “Sulla scia del Vapur”, aventi per argomento le antiche imbarcazioni lariane a vela e i piroscafi che più tardi hanno solcato le acque del nostro lago; dalle onde si era trasferita sulla terra con “Carbone bianco”, dedicato alle ferrovie locali; e in questi giorni si conclude con “La strada stretta tra monti e lago”, a cura di Gianpaolo Brembilla e Marco Denti (252 pagine, 355 illustrazioni, prezzo 30 €), resoconto della laboriosa e ardita realizzazione della via da Lecco a Colico, nata nei primi decenni dell’800 come strada militare austriaca (progettata però da lombardi) e a lungo identificatasi con la ex Statale 36. Se l’approfondimento tecnico e storico è inappuntabile e la veste tipografica elegante, due standard ai quali l’editoria della Scanagatta ci ha da sempre abituati, quest’opera sarà ancor più apprezzata dai bibliofili per essere particolarmente impreziosita da una ricchissima iconografia, che riproduce un gran numero di stampe e dipinti d’epoca.
domenica 30 giugno 2019
sabato 29 giugno 2019
"Storie di vetro. La vetreria Venini di Fiumelatte
"Storie di vetro. La vetreria Venini di Fiumelatte
e altre fabbriche nel territorio dei Laghi Lombardi"
di Marina Uboldi
Nel 1801 cominciò a funzionare a Fiumelatte, presso Varenna, una fabbrica di vetri. L’impianto di questa industria si collega alla scoperta di cave di arena silicea nel territorio e all’intraprendenza del proprietario terriero e imprenditore Bernardo Venini. Non si tratta di un’impresa isolata, tutta la fascia dei Laghi prealpini vede infatti sul finire del XVIII secolo e all’inizio del secolo successivo il sorgere di impianti per la produzione di lastre di vetro da finestra e bottiglie. La storia di queste fabbriche, che sono vissute con diverse vicende fino all’industrializzazione degli inizi del Novecento, è stata però a lungo ignorata, e solo ora vanno riemergendo da ricerche d’archivio e sul territorio le figure affascinanti di imprenditori pionieri, insieme alle cronache di un tempo in cui il lavoro era estremamente duro, e alle storie private dei lavoratori e delle loro prime lotte per ottenere condizioni migliori di lavoro.
L’importanza dell’industria del vetro nel territorio emersa da una prima indagine sulle fabbriche di Porlezza e di Fiumelatte e la straordinaria circolazione di uomini e merci legati a questa produzione in tutta Europa, hanno stimolato una più ampia ricostruzione, che si incentra soprattutto sulla famiglia Venini.
Costoro, dopo la chiusura della vetreria di Fiumelatte, nel 1844, continuarono ad avere interessi in altre fabbriche: a Tione nelle Giudicarie, con Giuseppe Venini , tra il 1848 e il 1864; nella Società Venini, Campioni e Polti, con sede a Torino e fabbriche a Garessio, Intra e Crevola; e nel commercio del vetro.
Discendente della famiglia varennese è anche Paolo Venini, che da Milano si trasferirà nel 1921 a Venezia per dare origine alla “Vetri soffiati muranesi Cappellin, Venini e C.” e il cui nome oggi tutti associamo al vetro artistico muranese.
L’indagine illustra anche il fenomeno della manodopera migrante, testimoniato dalla presenza di numerosi vetrai - i maestri soffiatori appartenevano ad una categoria altamente specializzata e spesso nomade in relazione ai ritmi stagionali della produzione - provenienti dal Centro Europa, e in particolare dall’Alsazia e dalla Foresta Nera. I numerosi cognomi di origine straniera (Tilgher, Derflingher, Gresly, Isely, Griner, Schneider, Heffler, Stengher, Leininger, Brünner…) tuttora presenti nei paesi lariani, testimoniano che non pochi di essi si fermarono in pianta stabile e formarono qui le loro famiglie.
Marina Uboldi, nata a Milano, ha trascorso l’infanzia sul lago lecchese, a Corenno Plinio, che frequenta sempre regolarmente. Archeologa, si occupa principalmente del vetro antico, in tutti i suoi aspetti, da quello storico-artistico a quello tecnologico.
Nel 1801 cominciò a funzionare a Fiumelatte, presso Varenna, una fabbrica di vetri. L’impianto di questa industria si collega alla scoperta di cave di arena silicea nel territorio e all’intraprendenza del proprietario terriero e imprenditore Bernardo Venini. Non si tratta di un’impresa isolata, tutta la fascia dei Laghi prealpini vede infatti sul finire del XVIII secolo e all’inizio del secolo successivo il sorgere di impianti per la produzione di lastre di vetro da finestra e bottiglie. La storia di queste fabbriche, che sono vissute con diverse vicende fino all’industrializzazione degli inizi del Novecento, è stata però a lungo ignorata, e solo ora vanno riemergendo da ricerche d’archivio e sul territorio le figure affascinanti di imprenditori pionieri, insieme alle cronache di un tempo in cui il lavoro era estremamente duro, e alle storie private dei lavoratori e delle loro prime lotte per ottenere condizioni migliori di lavoro.
L’importanza dell’industria del vetro nel territorio emersa da una prima indagine sulle fabbriche di Porlezza e di Fiumelatte e la straordinaria circolazione di uomini e merci legati a questa produzione in tutta Europa, hanno stimolato una più ampia ricostruzione, che si incentra soprattutto sulla famiglia Venini.
Costoro, dopo la chiusura della vetreria di Fiumelatte, nel 1844, continuarono ad avere interessi in altre fabbriche: a Tione nelle Giudicarie, con Giuseppe Venini , tra il 1848 e il 1864; nella Società Venini, Campioni e Polti, con sede a Torino e fabbriche a Garessio, Intra e Crevola; e nel commercio del vetro.
Discendente della famiglia varennese è anche Paolo Venini, che da Milano si trasferirà nel 1921 a Venezia per dare origine alla “Vetri soffiati muranesi Cappellin, Venini e C.” e il cui nome oggi tutti associamo al vetro artistico muranese.
L’indagine illustra anche il fenomeno della manodopera migrante, testimoniato dalla presenza di numerosi vetrai - i maestri soffiatori appartenevano ad una categoria altamente specializzata e spesso nomade in relazione ai ritmi stagionali della produzione - provenienti dal Centro Europa, e in particolare dall’Alsazia e dalla Foresta Nera. I numerosi cognomi di origine straniera (Tilgher, Derflingher, Gresly, Isely, Griner, Schneider, Heffler, Stengher, Leininger, Brünner…) tuttora presenti nei paesi lariani, testimoniano che non pochi di essi si fermarono in pianta stabile e formarono qui le loro famiglie.
Marina Uboldi, nata a Milano, ha trascorso l’infanzia sul lago lecchese, a Corenno Plinio, che frequenta sempre regolarmente. Archeologa, si occupa principalmente del vetro antico, in tutti i suoi aspetti, da quello storico-artistico a quello tecnologico.
A Bellano si cambia
“A Bellano si cambia” offre un viaggio nella storia delle
vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto locali.
Un argomento
ampio che spazia dalle antiche mulattiere percorse dai viandanti e dagli eserciti,
fino alla costruzione della strada militare voluta dagli austriaci nei primi
decenni dell’800 e che dà una svolta alla viabilità terrestre di Bellano.
Passerà ancora un secolo prima che si realizzino le strade carrozzabili verso
la Valsassina e la Muggiasca, che consentono lo sviluppo di nuovi trasporti
pubblici su gomma: le corriere e i taxi.
Nel corso
dei millenni, il lago è la primaria via di comunicazione e scambio commerciale:
è solcato da grosse imbarcazioni, le gondole lariane e i comballi, quindi dal
1826, dalla navigazione a vapore.
Il completo
interscambio tra i mezzi di trasporto si realizza nel 1892, quando a Bellano
arriva la ferrovia, che pochi anni dopo raggiungerà Colico e Tirano e nei primi
anni del ‘900 diviene la prima linea ferroviaria elettrificata al mondo.
Una ricerca
storica che raccoglie, in 96 pagine e 124 illustrazioni, un lavoro unico non
solo per Bellano, ma anche per i paesi limitrofi.
venerdì 30 giugno 2017
L'origine del Lago di Como, degli altri laghi prealpini e della pianura padana
Già da qualche decennio è stato appurato che i nostri grandi laghi prealpini, diversamente da quanto veniva insegnato fin dalla fine dell’800, non sono stati scavati dai ghiacciai, bensì da fiumi che scorrevano prima delle glaciazioni e nei periodi caldi tra le stesse. Ma scoprire che le celeberrime “valli glaciali a U" in realtà non esistono, o che il cosiddetto anfiteatro morenico della Brianza non è affatto formato da morene, oltre ai curiosi di geologia lascerà spiazzato anche più di un addetto ai lavori. Sono solo alcune delle affermazioni, documentate in modo scientificamente ineccepibile, che rendono affascinante la lettura di un volume edito in questi giorni dall’associazione culturale “Luigi Scanagatta” di Varenna: “L’origine del Lago di Como, degli altri laghi prealpini e della Pianura Padana”, opera di un eminente geologo scomparso nel novembre 2016 a Mandello, il prof. Gian Clemente Parea, già docente all’Università di Modena e socio della “Scanagatta”, che nel testo ha riassunto tutta una serie di considerazioni maturate durante una lunga e intensa vita di studi. Rivolto anche ai non specialisti e corredato di un glossario di termini tecnici, il libro – il cui editing è stato curato da Giancarlo Colombo – prende spunto da una semplice quanto intrigante constatazione: tutti i grandi bacini lacustri del nord Italia sono contenuti in un’unica ristretta area ai piedi della catena alpina, situazione da cui l’autore muove per indagare sulle modalità della loro formazione giungendo a conclusioni sorprendentemente innovative nei confronti dell’establishment geologico.
Il volume, in vendita al prezzo di 25 Euro, può contattare l’associazione al recapito E-mail ass.scanagatta@tin.it .
CENT’ANNI DI VELA LARIANA
Pochi sanno che lo sport della vela, sul Lago di Como,
è un fenomeno nato molto prima che nelle grandi città marinare quali Genova,
Trieste o Napoli. Lo testimoniano i documenti del Lloyd Register of Yacht,
l’annuario britannico della vela che, nell’edizione del 1900, stila l’elenco
dei circoli esistenti in quel momento nel mondo da cui risulta che la “Società
Regate Club” del Lago di Como, nata nel 1872, è il più antico dei club
italiani. La lunga storia della vela italiana è cominciata sul Lario 142 anni
fa; un motivo d’orgoglio, un’avventura intrisa di aneddoti, leggende, cronache,
personaggi che l’autore del libro, Eugenio Mellera, ha raccolto con immensa
passione sfociata in un’ opera edita dall’Associazione Culturale L. Scanagatta
di Varenna: Cent’anni di vela lariana.
Nel testo si ripercorre la storia delle regate veliche
sul Lario tra gli anni 1850 e il 1950. Infatti nel 1850 si tenne la prima
regata sul Lago di Como il cui percorso si snodava tra Dongo e Bellagio: è la
più antica competizione velica di cui si abbia notizia in Italia. Nel 1901
prese poi vita la Coppa
Bellano che si tiene ancora oggi. La cosa più curiosa è che
l’anima dell’organizzazione fu un sacerdote, don Luigi Adamoli, che partecipò a
diverse edizioni della gara.
Il velista Eugenio Mellera si è cimentato in un’opera che
mai avrebbe visto la luce senza il supporto di un archivio personale
fornitissimo.
110
pagine - con ??? tra illustrazioni e
documenti inediti
Tiratura
limitata di sole 500 copie numerate
Copertina
cartonata dimensioni ????
Esaurito
giovedì 15 agosto 2013
Alla ricerca del Lariosauro perduto
Nel 1893, il geologo Mario
Cermenati segnalò in una guida turistica di Lecco come un esemplare di
Lariosauro, il rettile fossile più antico dei dinosauri ritrovato nel calcare
di Perledo e Varenna, dopo la scoperta avvenuta nel 1891 “passò nel Belgio,
venduto per lire 800”.
E’ l’unica citazione esistente dell’importante
reperto, che da allora sembrò svanire nel nulla, tanto da sfuggire ai censimenti
di due illustri paleontologi che nel 1933 e nel 1998 fecero il punto su quei
fossili, descrivendone anche il minimo frammento conservato nei musei italiani
ed esteri.
Giancarlo Colombo, autore del volume
“Lariosaurus” pubblicato nel 2002 dall’Associazione culturale “L. Scanagatta”
di Varenna, è recentemente riuscito a rintracciare l’esemplare per tanto tempo sparito
dalle scene e a ricostruire la storia delle sue peregrinazioni, in seguito alle
quali il reperto si trova oggi in un grande museo d’oltreoceano.
Ce le racconta nel nuovo libro
“Alla ricerca del Lariosauro perduto”, che verrà presentato ufficialmente dall’autore
nella Sala Enrico Fermi di Villa Monastero a Varenna alle ore 17 di venerdì 6
settembre. Oltre ad assistere alla proiezione di una ricerca per immagini
sull’argomento, il pubblico potrà ammirare la perfetta riproduzione del fossile,
l’unica esistente al mondo, che l’Associazione Scanagatta ha fatto realizzare a
proprie spese.
Giancarlo Colombo, Alla ricerca
del Lariosauro perduto
Testo in italiano e traduzione
integrale in inglese
Edizioni dell’Associazione culturale “Luigi Scanagatta”, Varenna, Luglio 2013
112 pagine - 11 illustrazioni – formato 14x22
Euro 15,00
giovedì 14 giugno 2012
GITA NELLA VALLE DI ESINO
GUPPO DELLE GRIGNE
A favorire la soluzione dell’enigma è stata, in modo del tutto inatteso, proprio la fotografia sinora rimasta sepolta nel vecchio opuscolo, grazie alla quale verso la fine del 2011 è stato possibile rintracciare il fossile e ricostruire le sue curiose vicende. Vedi al riguardo in questa rassegna editoriale la voce “Alla ricerca del Lariosauro perduto”.
30 pagine – formato 13×20 – Euro 10,00
Continuando
nella riscoperta di ormai introvabili testi letterari o scientifici del passato
riguardanti il nostro territorio, l’Associazione culturale “Luigi Scanagatta”
di Varenna ripropone, nel centenario della pubblicazione, la ristampa
anastatica di un fascicoletto di 32 pagine scritto dal dottor Pietro Zuffardi,
geologo della Regia Università di Torino. Estratto dal Bollettino della Società
Geologica Italiana, l’opuscolo contiene la relazione della “Gita nella valle di
Esino (gruppo delle Grigne)” dei partecipanti al Congresso geologico nazionale
tenutosi a Lecco nel settembre 1911.
Molti
sono gli aspetti che ancora a distanza di un secolo rendono piacevole la
lettura del venerando resoconto. Anche chi non fosse particolarmente
interessato alla geologia – che peraltro l’autore mantiene con discrezione
sullo sfondo – non mancherà di gustare l’operetta dal punto di vista della
memoria locale e del costume: si va dalle descrizioni di paesaggi d’altri tempi
alla restituzione dello spirito di sorridente ottimismo scientifico tipico
dell’epoca a quello che oggi diventa un insolito ricordo “dal vivo” di illustri
personalità accademiche di allora, dal nostro Mario Cermenati al Taramelli, al
Camerano, al Sacco, solo per citare i nomi più famosi.
Segnaliamo
infine quello che fino a poco tempo fa è stato un piccolo mistero. A pag. 12
l’opuscolo riporta la fotografia di un fossile di Lariosaurus balsami, il celebre rettile più
antico dei dinosauri scoperto nelle cave del cosiddetto “marmo nero di Varenna”
all’incirca tra la metà dell’800 e i primi decenni del ’900; se ne conoscono in
tutto una quindicina di reperti, includendo nell’elenco anche i più modesti
frammenti. L’esemplare che compare nella foto, scoperto a Perledo nel 1891 e abbastanza
completo, è uno dei più grandi mai venuti in luce.
Nel
2002, l’Associazione Scanagatta aveva pubblicato sul Lariosaurus un esauriente
volume, comprendente tra l’altro la descrizione dettagliata di tutti i fossili
conosciuti di questa specie. Nell’elenco, però, non poté essere incluso
l’esemplare di cui sopra, che pur essendo stato citato nel 1893 dal geologo
lecchese Cermenati non fu mai menzionato né raffigurato in alcun testo
scientifico, mancando persino dal meticolosissimo censimento dei reperti di
Lariosauro effettuato da un paleontologo svizzero nel 1933. Per inciso, indagando
in proposito durante la stesura del libro, l’autore non trovò traccia del
fossile in alcuno dei principali musei d’Europa.
A favorire la soluzione dell’enigma è stata, in modo del tutto inatteso, proprio la fotografia sinora rimasta sepolta nel vecchio opuscolo, grazie alla quale verso la fine del 2011 è stato possibile rintracciare il fossile e ricostruire le sue curiose vicende. Vedi al riguardo in questa rassegna editoriale la voce “Alla ricerca del Lariosauro perduto”.
30 pagine – formato 13×20 – Euro 10,00
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Scienze naturali,
Storia locale
mercoledì 13 giugno 2012
venerdì 26 agosto 2011
Le tre ruote d'oro
storia del motocarro Guzzi
di Gianpaolo Brembilla, Roberto Brembilla, Simonetta Carizzoni, Italo Ciabarri, Giancarlo Colombo, Stefano Dell'Oro.
“La storia del motocarro non è quella della semplice ideazione e sviluppo nel tempo di un prodotto tecnico, essendo stata caratterizzata da momenti che si sovrapposero in modo significativo a speciali circostanze storico-sociali. In altre parole, le caratteristiche del mezzo si sarebbero rivelate particolarmente adatte a specifiche situazioni presentatesi in determinati periodi, in tempo di guerra come di pace”.
Così esordisce il libro “Le tre ruote d’oro – storia del motocarro Guzzi”, curato dall’Associazione culturale "Luigi Scanagatta" di Varenna e pubblicato nella ricorrenza del novantesimo anno di fondazione della “Moto Guzzi” di Mandello del Lario.
Gli autori vogliono contribuire a colmare una vistosa lacuna: mentre molto è stato scritto sui motocicli da strada o da corsa che in passato hanno reso l’azienda famosa nel mondo, sino a oggi l’“umile” motocarro è stato pressoché completamente trascurato.
Il volume raccoglie una lunga serie di fotografie d’epoca di tutti i modelli prodotti dalla Casa lariana tra il 1928 e gli anni ’60 del secolo scorso, riportando anche le relative schede tecniche.
Destinatari non sono però soltanto i “fan” del marchio Guzzi, o più in generale gli appassionati di motociclismo. Oltre a proporsi come riscontro visivo ai ricordi dei non più giovani, l’opera – che raccoglie anche interessanti testimonianze di vita vissuta – intende far conoscere alle generazioni più recenti una macchina che ha accompagnato fattivamente le vicende dell’Italia nel corso dei decenni, in particolare svolgendo un ruolo prezioso durante la ricostruzione post-bellica del Paese.
272 pagine - 384 fotografie – formato 21x23
Esaurito
di Gianpaolo Brembilla, Roberto Brembilla, Simonetta Carizzoni, Italo Ciabarri, Giancarlo Colombo, Stefano Dell'Oro.
“La storia del motocarro non è quella della semplice ideazione e sviluppo nel tempo di un prodotto tecnico, essendo stata caratterizzata da momenti che si sovrapposero in modo significativo a speciali circostanze storico-sociali. In altre parole, le caratteristiche del mezzo si sarebbero rivelate particolarmente adatte a specifiche situazioni presentatesi in determinati periodi, in tempo di guerra come di pace”.
Così esordisce il libro “Le tre ruote d’oro – storia del motocarro Guzzi”, curato dall’Associazione culturale "Luigi Scanagatta" di Varenna e pubblicato nella ricorrenza del novantesimo anno di fondazione della “Moto Guzzi” di Mandello del Lario.
Gli autori vogliono contribuire a colmare una vistosa lacuna: mentre molto è stato scritto sui motocicli da strada o da corsa che in passato hanno reso l’azienda famosa nel mondo, sino a oggi l’“umile” motocarro è stato pressoché completamente trascurato.
Il volume raccoglie una lunga serie di fotografie d’epoca di tutti i modelli prodotti dalla Casa lariana tra il 1928 e gli anni ’60 del secolo scorso, riportando anche le relative schede tecniche.
Destinatari non sono però soltanto i “fan” del marchio Guzzi, o più in generale gli appassionati di motociclismo. Oltre a proporsi come riscontro visivo ai ricordi dei non più giovani, l’opera – che raccoglie anche interessanti testimonianze di vita vissuta – intende far conoscere alle generazioni più recenti una macchina che ha accompagnato fattivamente le vicende dell’Italia nel corso dei decenni, in particolare svolgendo un ruolo prezioso durante la ricostruzione post-bellica del Paese.
272 pagine - 384 fotografie – formato 21x23
Esaurito
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